Funeral Party
- alessandroonorato0
- 25 ott
- Tempo di lettura: 9 min

Il week end a Santa Barbara volgeva al termine mentre tracannavamo daiquiri ghiacciato nemmeno fossimo al Floridita all’Havana. Stessa storia, nuovo posto, nuovo bar. Drink fuori dalle logiche abituali. Come diceva Bukovski lo stile rimaneva, ci limitavamo a bere cose diverse. Un po’ malinconici perché le domeniche sera sono un po’ così, l’antipasto della morte, mangiarne un pezzetto che non basta a saziarsi ma accende il gusto. Barbie aveva cominciato a lavorare alla comunicazione di un’azienda vinicola e mal soffriva i ritmi di una vita normale. Salsisc, il bassotto che aveva preso, si rotolava nella sabbia. Wale e Kiva tenevano il ristorante chiuso il lunedì quindi erano un po’ fuori dagli schemi. Io non avevo ancora ritrovato un impiego fisso ma la malinconia domenicale non passava mai. Gli altri, già se la dormivano ubriachi.
Ordiniamo un altro giro. Non sono bastati i quindici precedenti. Il proprietario del locale sta già ordinando una Lamborghini con gli incassi che gli stiamo facendo fare. È ora di metterlo in difficoltà.
- Senti, sono un po’ stufo, il prossimo giro ce lo fai Hemingway Special? –
Mi guarda. Lo guardo. Mi guarda. Lo guardo. Mi guarda. Guardo Wale. Wale mi guarda. Poi guarda lui. Che guarda Wale.
- Doppio rum e ci togli lo zucchero. –
- Certamente. –
Per fare un daiquiri ci vuole una dose di rum bianco, un cucchiaino di zucchero, e la spremuta di un lime. Tanto ghiaccio. Va bene per un po’, poi quando inizi a sentire il diabete che spinge meglio cambiare versione. Magari chiuderemo degnamente questa sbronza.
Suona il telefono. Louis, un mio ex collega universitario. Prima che mi mandassero via.
- Ti ricordi il professor Driver? –
- Sì, certo. Non mi fido di chi beve vodka ghiacciata, però. –
- È morto. Domani c’è il funerale. Vieni? –
- Morto? –
Quando una persona che ha più o meno la tua età muore c’è sempre un brivido antipatico alla schiena.
- Sì, boh, non ho capito. –
- A che ora? –
- Alle undici. –
- Dove? –
- Al tempio di Santa Monica. –
- Non sapevo Driver fosse ebreo. –
- Non lo era, ma la famiglia sì.
- Praticamente dovrei guidare fino a San Fran e ripartire subito. Impossibile dopo quindici daiquiri. –
- Da quando bevi daiquiri? –
- Da quando mi avete licenziato. –
- Mica ti ho licenziato io. Domani c’è pure il Magnifico, ci parli. –
- E cosa gli dico? –
- Non so, magari ti fai dare il posto di Driver. –
- Insegno drammaturgia non storia della recitazione. –
- Insegnavi. –
- Senti, non mi va di andare a un funerale di una persona per prendergli il posto, mi pare sciacallaggio. –
- Come vuoi. –
- Senti, vengo, va bene, ma non parlerò con il Magnifico. –
- Bravo. A domani. Ah, visto che sei l'unico che non lo chiede... Si è suicidato. –
L’Hemingway Special non era niente male. Peccato non averci pensato prima. Ordino un caffè. Prendo un Maalox. Wale ha tipo uno Xanax che però non ti fa dormire ti manda praticamente in ipnosi. Che con il caffè è l’ideale per la guida lunga e ininterrotta. Il whattaffuckazopram è un caldo abbraccio, che allontana tutte le preoccupazioni e stende il cervello facendo sdraiare i miei pensieri su nuvole di latte morbide e calde come giganteschi seni femminili. Saluto tutti e salgo in auto, sospiro, non so nemmeno perché lo sto facendo, scrocchio il collo, tolgo il freno a mano, parto.
Nello stato ipnotico scivolo lungo la California con la bocca impastata e con un retrogusto di canna di zucchero che cerco di mandare via una lucky stike dopo l’altra mentre la radio racconta la storia di Brian Fallon, Alex Levine, Benny Horowitz e Alex Rosamilia: i Galsight Anthem, altra promessa non mantenuta dell’indie rock odierno, il cui successo è stato effimero ma almeno è esistito, sempre meglio di nulla, mica come il mio, che è un successo infinito ed eterno ma purtroppo solo in pochi villaggi dell’Armenia meridionale, io e loro, loro ed io, trattenendo il respiro, per troppi anni da contare, la gioventù che non c’è più, tutti gli anni in cui mi sei mancata, i viaggi con la luna come testimone, le parole scritte a mano…
Sono ipnotizzato. È il whattaffuckazopram. Il cervello corre in spirale. Pesto il pedale oltre le 160 miglie orarie. Chissà quanto fa in chilometri orari. Non ho mai imparato a fare il cambio. E guardo ancora alla misurazione in once o pollici con sospetto. Sono dentro un film di Hitchcock. Hitckock. Hitchcok. Sono dentro un film del regista di Vertigo. E poi c’è da dire che io avevo anche promesso il mio successo a qualcuno. Che sarebbe stato il nostro. Ma il mio era un sogno. E un sogno se non si realizza diventa una bugia? O diventa qualcosa di peggio? Mi viene da piangere. Viaggiamo veloci, andiamo a un funerale. Viaggiamo? Sì, io e tutti i fantasmi. Forse siamo a 180. E sono miglia, non chilometri. Forse si muore così con lo schianto. Qualcosa mi dice però che non creperò di domenica notte. Ti sono mancato quando sono andato via? E le cose semplici che abbiamo perso? Penso che morirei se sapessi di non avere il tuo amore. Alzo il volume. C’è nebbia. Deve esplodere il tutto. Che canzone ci sarà al funerale? Che canzone vorresti suonassero al tuo? Al mio vedrei bene Rocket Man. Ma forse è un po’ inflazionata. Quasi banale. Altra Lucky.
Stop. Benzina. Pisciata. Mi sciacquo la faccia. No surrender my Kiky Jean. Mi faccio il segno della croce. Penso non sia di cattivo gusto andando a un funerale ebraico. Cioè in realtà suppongo solo sia ebraico. In realtà non ne ho la più pallida idea. Il cervello corre ancora troppo veloce. La sbronza è passata. Non ho sonno. Esco dal bagno. Incontriamoci sulla riva del fiume Kiky. Si è alzato un po’ di vento. Odore di benzina. In sella, cowboy.
Ore dieci e quarantacinque. Entro al tempio con buoni quindici minuti di anticipo. Blue jeans, t-shirt bianca, occhi impallati. Niente vedova, niente orfani. Niente padre, niente madre. Faccio le condoglianze a quelli che credo essere il fratello e la sorella.
Mi siedo a fianco a Louis.
- Stai uno schifo. –
- Grazie. Ti piacciono i miei occhiali? –
- Ti stanno bene. Ti fanno sembrare triste. –
- Mi fa piacere vederti. –
- Anche a me. Mi sei mancato. –
La cerimonia è lunga, molto sentita. Perlopiù in ebraico, quindi per quanto sentita da me poco capita. Poi andiamo al rinfresco. Si usa così. Cioè non lo so, così mi dice Louis.
Prendo un bicchiere di latte e mi siedo all’aperto con Louis. La luce è un po’ troppa ma mi sento quasi bene. Arriva Mary, una collega. Sospetto abbia avuto una relazione con Louis ma non sono mai riuscito ad averne le prove. Ossessione che ancora mi pervade. Si salutano, abbastanza affettuosamente, non troppo.
- Avete saputo? –
- Cosa? –
- Pare abbia commesso un omicidio. Prima di suicidarsi. –
- Ma voi due siete mai andati a letto insieme? –
Mi guardano basiti. Louis interviene.
- Come un omicidio? –
- Non so bene… Ma hanno aperto le indagini. Per questo non si sapeva nulla anche del funerale e tutto… -
- Se entrambi aveste detto di no, avrei pensato sì, ma se nessuno dei due risponde… -
Louis interviene di nuovo.
- No, a me sarebbe anche piaciuto, per lei ero solo un amico, niente di più. –
Mary arrossisce. Quindi è vero. Non sono andati a letto insieme. Arriva Jenny. Ecco, con lei invece ero andato a letto io. La saluto con un entusiasmo esagerato e finto.
- Mary, l’avete saputo? –
- Sì, sì…. –
- Kathy, una nostra studentessa… Diciannove anni. –
Ammutolisco persino io. L’istinto di dire qualcosa di stupido di nuovo ci sarebbe, ma mi trattengo. Mi accendo l’ultima lucky.
- No, non sapevamo… -
Si mette a piangere. Si abbracciano. Mi guardo intorno. Gran parte delle persone presenti non sembrano averne idea. Probabilmente stanno dicendo l’un l’altro quanto era bravo quanto era bello quanto gli volevano bene poverino e tutto il resto. Che poi, magari è innocente e fanno pure bene.
Arriva il Magnifico. Sembra un fantasma.
- Ragazzi, vi prego di venire a pranzo con me… è una questione molto delicata. –
- Posso venire anche io? –
Mi guarda. Mi riconosce. Non aveva fatto caso a me.
- Oh… Ciao. Sì. Sì, piacere di rivederti… -
- Ho saputo che si è liberata una cattedra così… No, sto scherzando, non temere. –
Non ride. Non sorride.
- Andiamo. –
Ci porta in un diner da quattro soldi. Non che sperassi in un ristorante stellato, ma insomma, con i soldi che guadagna come rettore… Invece uno di quei posti da film di Tarantino, frequentato solo da Messicani. Almeno ho preso il Maalox. Uomo sapiente! Sempre avrai con te del Maalox. Torah, libro dei farmacisti, capitolo quinto, versetto trentasei.
Si siede. Ci sediamo. Si avvicina a noi.
- Il bastardo aveva una relazione con una studentessa. L’ha ammazzata e fatta a pezzi. Ha buttato quanto rimaneva in una collina dietro Hollywood. –
Silenzio. Ci guardiamo.
- Hanno trovato un sacco di roba in casa sua. Roba pesante. Sadomaso. Abiti nazisti, con le svastiche. –
Per un momento penso di specificare che evidentemente la sua protesta contro la famiglia ebraica era andata un po’ oltre ma mi trattengo. Forse i familiari lo sapevano e la cerimonia al tempio è una silenziosa vendetta? O è il leggendario umorismo dei figli d’Abramo?
Non la conoscevo quella studentessa. Forse questo mi aiuta a mettere le cose in prospettiva. Forse no.
Poi il Magnifico riprende:
- Se questa storia arriva alla stampa sarà un disastro per l’Università… -
Jenny espolde:
- Quel bastardo ha fatto a pezzi una nostra studente e tu parli del buon nome dell’istituto! –
Lui ribatte:
- No, no, voglio dire… Io non potevo certo sapere… Nemmeno immaginare…
Interviene Mary:
- Ah, quindi si tratta di te. Hai paura ti costringeranno a dimetterti. –
- Ma che colpa ne ho io, scusa? Non c’era mai stato un minimo indizio, un minimo segnale… -
- Lo vedi! Ecco! –
- Ma cosa cambierebbe? Mi dimetterei se potessi far tornare in vita quella ragazza ma non posso! –
Louis mette ordine:
- Calma, calma. Per ora sono voci. Chiacchiere. Forse fondate, forse no. Non possiamo darlo per colpevole noi prima che lo faccia chi di dovere. –
- Secondo me Mary, avresti dovuto dargli una chance a Louis. –
Tutti si girano verso di me. Il premio inadeguato dell’anno questa volta non me lo toglie nessuno.
- A te perché ti avevo licenziato? –
- Perché non volevo mettere un nero a interpretare l’ebreo nel Mercante di Venezia. –
- Vabbè, non mi pare poi così grave. –
- No, in effetti, no. –
- Vuoi tornare? –
- Per carità, no. Siete un istituto molto chiacchierato. –
- Non hai tutti i torti. –
- Volevo sfasciarti la macchina quel giorno, poi ho conosciuto una tipa. –
- Stai con una, adesso? – Jenny mi guarda incuriosita. Tipico delle donne, quando non sei più disponibile, torni interessante.
- Yesss. –
- Peccato. –
Ordiniamo. Mangiamo. Il Magnifico non mangia. Ha una brutta cera. Continua a guardare il telefono. Poi ci lascia. Pare che verranno interrogati tutti, comunque.
Vado in spiaggia con Louis. Facciamo un bagno. Dormo un po’ sotto il sole di Santa Monica. È pieno di Sante qua in California, il che è un po’ ironico. Certo era bella Jenny. Sempre stata bella. Come quel paesino spagnolo, quando eravamo ragazzi. Ti ha detto di chiamarla. Non la chiamerai. Meglio dormire. Il balsamo di ogni creatura, un buon sonno, con il rumore del mare ad accompagnarlo, il vento nei capelli…
Louis mi sveglia che si è fatta sera. Ho un po’ di mal di testa, ma non sto poi così male. Dice che ha voglia di gamberi. Andiamo in un posto lì vicino. Mescolo una birra con la limonata, che è pur sempre un inizio. Litighiamo per una divergenza di vedute su Patrick Marber. Altra birra, altri gamberi. In televisione trasmettono la notizia. È ufficiale. Il nostro collega ha fatto a pezzi la studentessa e poi si è tolto la vita. L’han detto in televisione, deve essere per forza andata diversamente, ma ormai per il mondo è così.
- È la prima volta che vado al funerale di un assassino. –
- Ma i suicidi possono essere seppelliti nei terreni sacri? –
- Boh, mi sa che ormai chiudono un occhio. Seppelliscono persino gli attori. –
- Insieme alla gente perbene, che oscenità! -
Ridiamo. Con tutta la mostruosità che esiste come si può sopportare la realtà? Una grande dose di birra e una grande dose di umorismo. Sennò non ne esci.
Mi accompagna alla macchina. È ora di tornare a San Fran. Sto tuffo nel passato doveva pur finire prima o poi.
- Non tornerai più a LA, vero? –
- No, non tornerò più. Ma poi lo sai, a LA si torna sempre. –
- Buona fortuna, cowboy. –
Just my rifle,
just my rifle,
my pony and me…




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